lunedì 17 gennaio 2011

L’Italia e la crisi del GDO nel sud. I motivi di un dissesto

Esistono settori della nostra economia che registrano flessioni generalizzate a doppia cifra e normalmente, se non si analizzano le situazioni del mercato specifico (concorrenza, pagamenti, numero di imprese fallite, abbassamento della richiesta, concorrenza straniera, etc.), tali flessioni spiegano, se all’unisono, una situazione di oggettiva difficoltà del settore. Nel nostro Paese ci sono diversi settori del mercato in difficoltà (dalle costruzioni, alla ceramica, etc.) ma non quello della Grande Distribuzione. Sicuramente non stiamo vivendo periodi come gli anni ’90 sino alla metà della prima decade del 2000, dove gli incrementi di fatturato delle strutture di vendita erano la normalità. Da qualche anno, complice anche la crisi economica, i numeri, a mercato omogeneo, sono tendenzialmente negativi, certo si parla di deboli negatività, ma tali sono. A chi si domanda quando si tornerà agli standard degli anni appena accennati, la risposta è, secondo noi, mai.
Negli Stati Uniti, dagli inizi degli anni ’90, in piena era Clinton, famosa per la floridità dell’economia, il mercato del Mass Market era già a tali livelli di saturazione che le fluttuazioni nostrane di questi anni, intorno allo zero, erano la normalità. Il problema infatti è soprattutto la saturazione del mercato che obbliga necessariamente ad una evoluzione della qualità dell’offerta, che si deve rivolgere verso l’acquisizione di una maggiore professionalità. Vent’anni fa il passo in avanti fu portato negli USA dall’evoluzione del category management che si rese necessario proprio per creare un rinnovato valore aggiunto all’offerta determinato da più organizzata gestione dei lay out. Noi attualmente siamo in una fase dove è necessario un cambio di mentalità per procedere alla sopravvivenza delle attuali strutture distributive con l’acquiescenza della consapevolezza che lo sviluppo delle reti di vendita (numerica) oggi si rende necessario per mantenere i numeri in positivo, ma assieme a ciò si deve prendere coscienza che siamo obbligati dal mercato ad assumere un nuovo atteggiamento professionale fondato sulla qualità, sullo studio, sull’analisi, sulle sperimentazioni (che ovviamente non si possono chiamare Category Management) che, assieme allo sviluppo, possono dare un minimo di spinta necessaria per mantenere i numeri all’altezza della situazione. Ovviamente quando si parla di numeri, si intendono i fatturati, più che di margini, su cui bisognerebbe fare un altro ragionamento più profondo. In ogni caso il problema del sud Italia di oggi, dei probabili fallimenti già oggi emersi, e quelli che potrebbero emergere, oggi nascosti, hanno sicuramente come elemento scatenante la crisi, ma le cause non si fermano all’elemento scatenante, hanno altre motivazioni che si annidano nel limite più rilevante dell’attuale DO nazionale: la bassa qualità professionale di chi ha le redini in mano dei Gruppi della DO. Chi scrive, è possibile, si attirerà le antipatie di alcuni che si sentiranno giudicati, ma con sincerità si può affermare che di innovativo oggi in Italia c’è ben poco, e quel poco rarissimamente coinvolge il format della DO, che è quello messo qui sotto la lente di ingrandimento. A dire il vero, per restringere il campo dei problemi, si può anche affermare un altro postulato: i nostri buyer sono generalmente capaci, combattivi e determinati. Quello che manca, molto spesso, è una chiara visione strategica che sta alla base di ogni cambiamento e di ogni politica di acquisto. I motivi fondanti dell’attuale crisi delle aziende distributive che abbiamo citato in questi tempi potrebbero essere collegati ad una oggettiva incapacità ad affrontare la crisi con mezzi professionali idonei alla situazione. Però si può anche dire che i comportamenti professionali che hanno portato alla crisi di Sisa Calabria, così come Cipac e probabilmente anche Cavamarket non sono peggiori di quelli che si pongono in essere nei Gruppi distributivi del nord Italia, solo che al nord la capacità di acquisto del consumatore è oggettivamente differente, quindi i rischi sono inferiori (ma esistono). Una delle conseguenze della poca professionalità si può così riscontrare in un altro reale problema della GDO, quello della sopravvivenza attraverso una rischiosa politica di gestione finanziaria più che di vendita. Questo è uno dei nodi centrali del problema: il mercato spesso e volentieri lavora con denari che non sono, di fatto, di proprietà dei Gruppi Distributivi, ma sono piuttosto presi “a prestito” dall’industria fornitrice attraverso i pagamenti lunghi e soprattutto con i ritardi. Un mercato del genere non può non essere a rischio. E’ sufficiente una diminuzione dei fatturati per creare stati di crisi. Il fenomeno è molto italiano e negli ultimi tempi sta crescendo a dismisura: secondo una statistica pubblicata pochi giorni fa sul Corriere della Sera Economia dal 2008 al 2009 i tempi effettivi (quindi non quelli concordati) dei pagamenti nel settore privato (quindi anche la GDO) sono aumentati del 15%. Da qui le distorsioni, le sofferenze, le situazioni che se non sanate portano al fallimento. L’inesistenza di alta professionalità non può portare a evidenti miglioramenti. Bisogna anche dire che, a onor del vero, non tutta la DO esprime numeri negativi, a supporto di ciò rivelo qualche dato di cui sono in possesso: Megamark, che opera in un territorio attiguo a quello della Calabria, a mercato omogeneo sta crescendo nei primi tre mesi dell’anno del 4%. Adesso con l’acquisizione dei 62 PdV di GS/Carrefour si vedrà se il management potrà e saprà sostenere l’acquisizione. Nel territorio dove la Cipac è entrata in crisi, il gruppo Tuo Spa sta crescendo, nel settore discount oggi in crisi, del 10%. Insomma se fosse stato in crisi il settore o l’area geografica probabilmente questi dati non esisterebbero. Nel Nord, come accennato, le cose vanno un po’ meglio, ma il merito, si è detto, non sempre è dovuto alla professionalità del management, perché a parte limare le marginalità per accrescere la pressione promozionale, non si vedono particolari richiami innovativi nell’offerta ma, al contrario, la disponibilità del consumatore è oggettivamente superiore che nel sud Italia.
Come uscire da questa situazione? Attraverso una seria formazione professionale, attraverso una attenta analisi delle strategie di vendita che vengono compiute dalla concorrenza ed all’estero, attraverso una reale lettura delle esigenze del consumatore e soprattutto pensando che non è attraverso la battaglia al ribasso che si vincono le guerre, ma piuttosto attraverso la capacità di scoprire nuove esigenza del consumatore, facendoli innamorare dei prodotti che potrebbero acquistare, insomma detto in una parola, attraverso la cultura. Se poi anche la legislazione ci volesse dare una mano, sia attraverso una sana regolamentazione dei pagamenti come avviene in Francia, sia per creare più uniformità tra le determinazioni delle Regioni, sarebbe la benvenuta.

Autore Autore:
Dott. Andrea Meneghini

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