sabato 18 dicembre 2010

La gestione delle risorse idriche in Italia

Penuria, inquinamento e sfruttamento eccessivo sono i principali mali che attanagliano la fonte della vita. Ma il problema vero, in Italia, è il governo delle risorse idriche. Prima del 1994, anno in cui è stata varata una legge quadro (Legge Galli) che ha cercato di mettere ordine in questo delicato settore, c’erano 13.500 acquedotti e oltre 5.500 gestori del servizio idrico: troppi. La gestione faceva capo ai Comuni in ossequio a una vecchia legge risalente al 1934. Nell’intricata rete delle cosiddette gestioni idriche in “economia”, sinonimo di acquedotti comunali, c’erano tre eccezioni, tre enti pubblici: l’Ente acquedotto pugliese, l’Ente acquedotti siciliani e l’Ente sardo acquedotti e fognature. Nelle Regioni in cui erano presenti e in parte lo sono tuttora, questi organismi pubblici, si registrano però le più gravi carenze idriche, fino al punto che in Sicilia e in Sardegna esistono commissari per l’emergenza idrica, che ormai è perenne, con città importanti come Enna, Caltanissetta o Agrigento che soffrono la sete anche durante l’inverno. Per non parlare della disastrosa condizione in cui versa l’Acquedotto pugliese, il più grande d’Europa, con perdite che sfiorano il 60%, contro una media nazionale del 40%. Perdite e infiltrazioni che costringono la Regione Puglia a chiedere al Ministero della Salute le deroghe alle norme sulla potabilità. Così, per risparmiare sugli investimenti, ormai ineludibili, l’Acquedotto pugliese è autorizzato a distribuire acqua di qualità insufficiente, con la presenza di cloriti e trialometani elevati.
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Il consumo medio degli italiani in realtà è un pò alto: supera abbondantemente i 200 litri d’acqua al giorno pro capite, contro i 10-20 litri di un africano. Dallo sciacquone alla doccia, dalla lavastoviglie alla lavatrice, non brilliamo certo per un uso accorto della risorsa: dei litri di acqua potabile consumati ogni giorno da ognuno di noi, solo pochi vengono usati per scopi strettamente alimentari; beviamo al massimo 2 litri, il resto finisce nel wc, nelle lavatrici, nelle lavastoviglie e nelle vasche da bagno. Pensate che la città più sciupona d’Italia è Latina (l’acquedotto è gestito dalla società privata Acqualatina Spa) dove ogni abitante in media consuma 692,14 litri al giorno. La città più virtuosa invece è Ascoli Piceno dove ogni cittadino si accontenta di una media di 127,30 litri al giorno.
Tra il 1997 e il 2003 i gestori di acquedotti che hanno costituito una società per azioni sono passati da 56 a 710. Il servizio idrico è ormai un’industria, che produce utili e dividenti per grandi e piccoli azionisti. La metamorfosi da cittadino a cliente dei mercanti d’acqua è avvenuta, come dimostrano le proteste alimentate dal Contratto mondiale dell?acqua, costituito nel 1996 a Lisbona.
Per gli oppositori alla privatizzazione, attraverso la società per azioni (e la quotazione in Borsa) si attua la ‘mercificazione’ di un bene comune. Il servizio idrico rischia di essere affidato a una multinazionale con sede a Parigi o a New York, in ossequio al principio del libero scambio sancito dall’Organizzazione mondiale del commercio. Ma la “guerra” tra chi spinge verso il mercato e chi vorrebbe un rigido controllo pubblico in Italia è ancora in corso, mentre un gruppo di associazioni sta raccogliendo le firme per presentare un disegno di legge di iniziativa popolare che mira a “ripubblicizzare” i servizi idrici.

fonte : http://satiric.wordpress.com/2007/06/12/la-gestione-delle-risorse-idriche-in-italia/

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