mercoledì 5 gennaio 2011

Quattromila miliardi sono sottratti all’agricoltura dall’intermediazione commerciale. Miliardi Perduti 1° parte

La mia inchiesta continua nella Roma dei palazzi, delle sedi, degli uffici. Enti, organismi, federazioni, istituti, partiti. Non sono un tecnico di agricoltura, ma, se capivo gli argomenti degli agricoltori in campagna, sempre meno capisco i discorsi nei palazzi, nelle sedi, negli uffici, nei corridoi. L’agricoltura italiana mi viene incontro come uno strano mostro ambiguo sul quale esistono numerose leggende, secondo  i paesi e le contrade, ciascuna opinabile, ciascuna diversa. Ne ricavo un’impressione confusa e sgradevole, di cosa artificiosamente snaturata e abnorme. Tutte le agricolture sono in crisi, ti dicono negli uffici, nelle sedi, nei palazzi romani. In Russia, in Francia, in Inghilterra. Se è per quello, rispondi, in crisi sono anche gli Stati Uniti: ma per sovrapproduzione. E allora allargano le braccia come a dire: vede? Se persino gli Stati Uniti...
Ma soltanto l’agricoltura italiana ha qualcosa addosso che non va, e che non dipende dai campi né dalle stagioni né dalla evoluzione dei tempi moderni, qualcosa che già Einaudi dieci anni fa denunciava con parole drammatiche, ma che nel correre silenzioso degli anni è divenuta ormai una sua seconda natura. L’agricoltura italiana è divenuta un gigantesco strumento politico, manovrato da una parte per fini elettorali e dall’altra per favorire industria e commercio. La prima questione non è un argomento di conversazione gradito, negli uffici romani, ma la seconda trova ammissioni esplicite anche in voci ufficiali. Dice il presidente della Confagricoltura, Alfonso Gaetani: “La rapidissima espansione dei settori industriale e commerciale agisce sulla ripartizione del reddito nazionale in modo da alterare, a danno dell’agricoltura, la proporzione. E va sottolineata la crescente e deprimente pressione esercitata sul nostro settore dallo straordinario appesantimento delle attività di intermediazione commerciale. Quanti sanno che il consumatore nazionale è costretto a spendere annualmente, per alimentarsi, circa ottomila miliardi, e che soltanto la metà di tale cifra va a beneficio del produttore? Tra la produzione e il consumo dei nostri prodotti c’è perciò uno spazio economico nel quale vengono prelevati ben quattromila miliardi, e se si può ritenere che una parte di tale prelievo sia effettuata a danno del consumatore, è indubbio che il maggior peso si esercita sul settore della produzione”.
Non è dunque l’agricoltura la grande ammalata, ma il sistema distributivo dei suoi prodotti. Che cosa ha fatto fino a oggi l’amministratore della cosa pubblica per rimediare, per temperare? Dalle campagne la risposta è unanime: niente di concreto, niente di efficace.
Ma un’amministrazione sbagliata non può durare negli errori per oltre un decennio senza che le radici del male siano così fonde da non poter essere sradicate nemmeno dai buoni amministratori, che dovrebbero pur esserci. E allora ecco quel qualcosa che appesantisce l’agricoltura vista da Roma: andiamo alle radici.
Abbiamo detto la volta scorsa che dell’agricoltura italiana si occupa in vario modo un numero di enti così elevato da essere persino indefinibile: arrivati al cinquanta, ci si arrende. Alcuni sono piccoli e locali, altri sono mastodontici. Il mastodonte numero uno è la Federconsorzi. L’agricoltura italiana è praticamente governata dalla sua organizzazione, che ha una fisionomia tecnica, ma con profonde radici politiche.
La Federazione italiana dei consorzi agrari, nata nel 1892 per aiutare gli agricoltori, i loro consorzi e le cooperative, si occupa oggi della vendita di macchinari, concimi e sementi, del credito agrario e di altre forme di assistenza o tutela, e gestisce per conto dello Stato gli ammassi del grano. Praticamente la Federconsorzi ha monopolizzato le attività dello Stato dirette al settore agricolo. In tredici anni di gestione di dopoguerra. si è costituita un patrimonio valutato a oltre trecento miliardi, con il controllo di cinquantaquattro società, tra cui industrie, banche, assicurazioni, immobiliari. Divenuta dunque uno dei massimi concentramenti di potere finanziario del paese, la Federconsorzi domina dall’alto il mondo agricolo nazionale. Ma essa è dominata a sua volta dal sindacato dei Coltivatori diretti, che dà alla Democrazia cristiana settanta deputati su duecentosettanta. Il Presidente della Coltivatori diretti è Bonomi.
Il grande apparato della Federconsorzi è il bersaglio, da tredici anni, delle accuse più gravi. Vi è chi ha scritto, a titolo di conclusione di una serie impressionante di documenti, che “questo grande Ente è diventato una delle espressioni più rappresentative e complete della corruzione burocratica e politica dei nostri giorni e di tutti i tempi”. Ma è anche bersaglio di accuse tecniche, e cioè di questioni che interessano l’agricoltore più da vicino: “In definitiva, con tutti questi giochi di bussolotti, l’agricoltore è costretto a comprare macchine, attrezzi, concimi, utenze di elettropompaggio, in una parola tutti i beni e servizi strumentali che gli servono, a regime rigorosamente protetto (a vantaggio di altri, beninteso): mentre quando deve a sua volta produrre e vendere, può farlo soltanto in regime di concorrenza, per la maggior parte delle derrate italiane: il che è come dire che quando l’agricoltore compra, il prezzo lo fa il venditore, mentre quando l’agricoltore vende, il prezzo lo fa il compratore. Detto questo, ci meravigliamo poi se i conti nelle aziende non tornano?”
Per i contadini, la Federconsorzi, la Coltivatori diretti, eccetera, sono uomini e uffici cui occorre rivolgersi ormai di continuo per poter sopravvivere. Nelle parole del viticoltore che abbiamo ascoltato la volta scorsa, il riferimento ai sindacati agricoli, agli ispettorati e alla Federconsorzi stessa era quasi ossessivo. La ragione, sostanzialmente, è una: il contadino non può più vivere senza credito: e il credito è nelle mani federconsortili. Cinque milioni di contadini, e stato calcolato, dipendono più o meno direttamente dai voleri di un’organizzazione parastatale.
Così, negli ultimi tempi, sono affiorate le prime proteste, le prime reazioni. Per ascoltarne i riflessi romani, al presidente Gaetani della Confagricoltura abbiamo chiesto quale fondamento abbiano le accuse che l’agricoltore rivolge al settore politico. Questa è stata la risposta: “L’agricoltore condanna quelle azioni di governo che sotto l’influenza di miti e di ideologie politiche si esercitano in contrasto con le leggi dell’economia. Azioni dalle quali derivano al nostro settore distorsioni e appesantimenti che rendono più grave il disagio e più arduo il cammino della ripresa.

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